The Shape of Water

The Shape of Water Non ho trovato un racconto particolarmente originale e nuovo. È una fiaba, si appoggia alla trama della fiaba classica, con i suoi topòi, la principessa, il principe, il cattivo, i buoni. Maquesta storia è riuscita a incantarmi: la cosa nuova, originale che mi ha immerso in un incantesimo lungo due ore è stata la scrittura, la realizzazione nei dettagli di quella storia, l'amore di cui Guillermo Del Toro (che ha scritto, prodotto e diretto il film) ha nutrito ogni immagine, ogni oggetto, ogni fotogramma, curatissimo, perfetto, con i colori, le musiche, le azioni, i personaggi. È stata felicissima la scelta dell'attrice protagonista, Sally Hawkins, dal corpo e dallo sguardo dolci e espressivi, portatrice di un dolore tanto intenso quanto vitale. Poi i personaggi di contorno, l'amico umanissimo, l'amica coraggiosa e vera. Il cattivo, spaventosamente freddo, spietato, mostruoso, agghiacciante. Lo scienziato, diviso tra passione e crudezza. E infine la Creatura, non umana, impossibilitata a condividere lo stesso spazio fisico di Elisa, ma totalmente in grado di condividerne quello spirituale. Una creatura bellissima ma anche selvaggia, passionale e tenera, un principe acquatico, fiabesco e sensuale. Una fiaba, un thriller, un film d'azione, un film fantasy, grottesco, dolce, una storia d'amore. The Shape of Water è tutte queste cose, e anche di più. (Oscar 2018 per miglior film, miglior regia, miglior scenografia, migliore colonna sonora).

Il filo nascosto

Il protagonista maschile di questa pellicola è un affascinante scapolo che ha superato la cinquantina, tanto ossessivamente bravo nel suo lavoro di sarto per l'alta società londinese (e non solo), elegantissimo, quanto rigido e maniacale. Ecco, Daniel Day Lewis già da solo merita la visione del film. É arrivato ormai a una recitazione che può quasi fare a meno delle parole. Io l'ho visto in lingua originale, in inglese si colgono bene le sfumature della sua voce e e delle sue espressioni. Lui e il protagonista sono una unica cosa, davvero. È impressionante come muove la bocca per dare alcune sfumature ora dolci ora rigide del carattere del suo personaggio. La storia si muove lenta e implacabile tra immagini di una eleganza aristocratica di una Londra anni '50 che è decisamente un godimento per occhi e orecchie (colonna sonora classica elegantissima). Ma nasconde un "filo nascosto" che é la parte più preziosa del film, l'elemento di verità, che svela la fragilità, la debolezza, l'umanità dei personaggi, di tutti i personaggi. E che non è lontana dalla realtà, anzi. Dinamiche come quelle del film ce ne sono. A me ha fatto un po' incazzare vedere certi comportamenti e un po' soffrire, intenerire, e qui c'è la bravura immensa degli attori. Per questo il film può essere visto anche una fenomenologia di un certo tipo di disturbo comportamentale, di interdipendenza tra il sadico e il maso, raccontata con arte. Vale la pena decisamente la visione di questa pellicola di Paul Thomas Anderson. Tra l'altro sembra che sia (spero di no) l'ultimo film di Daniel D.Lewis. Mah, chissà, anni fa era scappato per qualche anno a fare il calzolaio a Firenze. E poi è ritornato a recitare ;-) In ogni caso ora rischia di prendere non so più se il quarto o quinto Oscar. Che attore.

Chiamami col tuo nome

"Chiamami col tuo nome" è straordinario. Sceneggiatura scritta a due mani da Guadagnino e Ivory (Quel che resta del giorno, Camera con vista, ecc....), tratto dall'omonimo romanzo, merita come minimo almeno un Oscar (il film ha ben 4 candidature). E' un capolavoro. Classico, elegante, passionale, quel classicismo sensuale che fa pensare alla poesia di Ovidio e Catullo. Parla di amore (omosessuale ma non è quello il punto, il punto è l'Amore) e formazione, e regala speranza, la speranza che vinca la voglia di vivere, di amare senza cinismo, e paradossalmente, il coraggio di amare "senza speranza" perché 'amore è fine e il mezzo per trovare se stessi. Il personaggio di Elliot è quello che mi ha più toccato, giovanissimo, acerbo, sensuale, travolto da qualcosa di più grande di lui a cui decide semplicemente di non fare resistenza, di vivere sul suo corpo e nella sua anima con la naturalezza di chi non può fare altro che quello, come quando scoppia un temporale o quando la natura inizia a germinarei in primavera. Il monologo finale del padre scava nell'anima con parole da ricordare e ripetere a memoria, parole indimenticabili (per quanto mi riguarda) è "educativo" nel senso più vero e profondo della parola. Non parliamo della fotografia e delle ambientazioni, un nord italia (cremasco e padano) che è poesia pura, filtrata dallo sguardo surreale, leggero e originale del regista. Il finale, con un primo piano lungo, intensissimo sul viso del giovane protagonista, ti fa piegare su te stesso, rimane impresso anche molto dopo che è finito il film. Un consiglio, andate a vederlo, non perdetevi una visione in sala, anche se purtroppo non ha la diffusione che si merita.

The Post

Ieri sera ho visto The Post. Regia di Spielberg. Anche questo film in corsa per gli Oscar come miglior film, la Streep migliore attrice protagonista (ma che dire, è quasi una ovvietà quando si tratta di lei). Sono andata quasi un poco scettica, nonostante il cast stellare e il regista fossero decisamente invitanti: le storie di taglio storico-giornalistico non sempre mi attirano quanto dovrebbero, purtroppo. E invece ho fatto bene. Paola e io siamo state una coppia perfettamente affiatata: qualche risata che ci ha alleggerito il film, e un indizio che la mia amica ha subito scoperto nella trama che ci ha permesso di cogliere di filato tutta la parte successiva ;) A parte tutto, che film! Spielberg intanto è un regista capace di esprimere una componente emotiva ogni volta che scrive una sceneggiatura e gira un film. Anche questa volta, ha trattato la storia, di stampo giornalistico, mettendo il risalto soprattutto la vicenda umana, i valori che ne vengono coinvolti. E' riuscito a tenere viva l'attenzione dall'inizio alla fine, con una cura dei dettagli storici, dei particolari che è stata visivamente perfetta, una festa per gli occhi. Cosa dire degli attori? Meryl Streep e Tom Hanks. Assoluti. La Streep interpreta un personaggio complesso, una donna ricca ma anche fragile e forte, di sfacettatta. Un personaggio umanissimo reso con un tocco recitativo delicato, sobrio e naturale. Tom Hanks altrettanto grande. Sono uscita dalla sala felice di aver sfidato la pigrizia serale e aver imparato da questa pellicola un pezzetto di storia del giornalismo americano, colma di ammirazione (per i protagonisti del film), anche un po' di retorica ma quella buona, e emozionata. Un filmone, andatelo a vedere perché pellicole così sono rare. Ma d'altronde il regista è Spielberg.

Tre manifesti a Ebbing, Missouri

Regia di Martin McDonagh. Con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish, Lucas Hedges. Non vorrei raccontare la trama di questo film, perché è splendidamente costruita ma secondaria alla costruzione dei personaggi. E non voglio farlo per non sciupare il godimento della storia, un misto di black humor e senso del tragico, scritta cos' bene che potrebbe essere un romanzo. L'ossatura narrativa del film racconta essenzialmente tre temi semplici e immensi: l'Amore, il Dolore e la Morte. Parla di di come si intreccino l'uno nell'altro, dando vita a qualcosa di ambivalente, esistenziale e sorprendente: l''uomo morale. E' bella questa pellicola perché non è stata scritta per vincere premi, non è un racconto strappalacrime scritto per rubare lacrime finte e non urticanti. No, questa storia è cruda, cupa, sboccata. Si è conquistata poche lacrime (mie) che però mi hanno graffiato nel profondo, perché nate dalla nuda verità dei personaggi. I protagonisti principalmente sono tre, una madre, uno sceriffo e un poliziotto, ciascuno con la propria croce da portare, ciascuno con i suoi strumenti per sopportarla, ciascuno con la sua possibilità di redenzione. E' un film che sa parlare del Male guardandolo in faccia senza uso di maschere o filtri. E questa nuda crudezza viene utilizzata anche per parlare del Bene. Proprio quando racconta quel momento speciale in cui il male si trasforma mi è esploso dentro al cuore, mi ha commosso affondando fino in fondo, fino al punto mio più vulnerabile, toccandomi come una preghiera. La parola che mi viene è sublime. Ci vuole coraggio a vederlo fino in fondo ma forse per un capolavoro ne vale la pena. 4 Golden Globe e ora candidato agli Oscar. Spero che vinca. C'è bisogno anche di queste storie.

Coco

Coco (Pixar) stanotte ha vinto i Golden, ne sono contentissima. Premio stra-meritato. Oltre a essere una storia colorata, allegra, visivamente splendida, mi ha colpito particolarmente il culto messicano degli antenati: trovo bello che un bambino possa guardare le fotografie dei suoi trisavoli accompagnato dalla voce di qualcuno che li ha conosciuti e magari, se fortunato, anche amati (oppure odiati, ma pur sempre vissuti), che sa quale era il loro piatto preferito e da quale passione erano accesi, che può conoscere chi c'era dall'altro capo del filo che lo unisce a qualcosa di più grande di lui. Li fa tornare in vita nel ricordo, perché è un ritratto vivo, arricchito di tutti quei dettagli che prima sembravano piccoli e insignificanti ma che dopo colorano ciascuna sfumatura della persona che siamo stati! Infine, che dire del finale: è lirico, colmo di quell'allegria che ti fa piangere, quella magia che solo i veri capolavori sanno fare. Da vedere (e per me da comprare, è già entrato ufficialmente nella collezione dei migliori Pixar). E nel frattempo mi scende una lacrimuccia mentre riascolto "Ripensamee 🎶"