Irrational man di Woody Allen: la banalità del Bene

In questo ultimo Woody Allen compaiono stereotipi, idee che ricorrono anche in altri suoi film di successo del passato: a partire da Crimini e Misfatti (capolavoro) Woody racconta l’intricato incastro esistenziale che esiste tra male e caso (o fortuna come dicevano i greci antichi). L’originalità di “Irrational man” però è nei due livelli di pensiero che si generano vedendo il film: il primo livello è quello della rappresentazione “letterale” dei fatti. Forse quello meno interessante. Il secondo livello (quello più interessante) è quello simbolico, quello che i fatti, gli accadimenti suggeriscono. Non mi addentro nella trama che svelerebbe troppi dettagli: ma quello che penso è che Woody è grande nel farci riflettere sui “falsi simulacri” che attraggono irrimediabilmente gli innocenti e su come sia facile confondere il bene con il male. Il male di “Irrational man” è tutt’altro che banale, anzi, si incarna in una mente brillante di un professore universitario, un uomo intelligente e affascinante e nasconde le sue ombre cupe e “psicopatiche” dietro una facciata bohemienne fatta di depressioni, spleen e poesia. Ma è “il Male”, quello con la M maiuscola: brilla di luce propria, è apparentemente più seducente del Bene, ma è in realtà una scorciatoia per l’inferno. Woody Allen in definitiva ci racconta come sia più “banale” e prosaica una vita condotta nella moralità, ma anche molto più difficile e come in fondo la “banalità del bene” sia l’unica strada eticamente praticabile.